16/05/2019
INTRODUZIONE
Come è noto l’art. 5, comma 9 del d.l. 95 del 2012 (modificato ed integrato con la legge nr. 124 del 2015), al fine di contenere il deprecabile fenomeno del revolving door (intendendosi per tale il fenomeno in base al quale la p.a. era solita stipulare contratti di collaborazione con soggetti che avevano raggiunto l’età pensionabile) ha previsto che:
è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001(118), nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125. Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni di cui ai periodi precedenti sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall'organo competente dell'amministrazione interessata.
L’INTERPRETAZIONE
Si tratta di una disposizione che, in disparte alcuni profili di disuguaglianza per l’accesso a procedure selettive instaurate da pubbliche amministrazioni tra pensionati e non, suscita delle perplessità, specie per come interpretata da alcune amministrazioni.
Al fine di dirimere alcuni contrasti e gettare luce su alcune prassi si offrono le seguenti considerazioni.
Innanzitutto occorre una breve premessa circa la tipologia e tassonomia dei rapporti di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione.
In virtù dell’influenza del diritto privato si può dire ormai affermare che al tradizionale modello di rapporto, costituito dalla subordinazione a tempo indeterminato si sono aggiunti ulteriori elementi e tipologie; basti pensare, al riguardo alla formulazione dell’art. 36 del dlgs 165 del 2001, per non menzionare tutte le norme che con ciclica frequenza regolano la materia.[1]
Tornando alla principale divisione all’interno del rapporto di lavoro, la dottrina tradizionale distingue tra lavoro subordinato e lavoro autonomo.
Al fine di ritenere un rapporto di lavoro come subordinato, in disparte la definizione pattizia, occorre la sussistenza di indici inequivoci di sottoposizione al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro; in mancanza, si avrà un rapporto di collaborazione, a volte caratterizzata da una certa continuità, come quelli che l’art. 409, nr. 3) del c.p.c. sottopone alla cognizione del giudice del lavoro.
Fatta questa premessa, si esamina ora la elencazione della fattispecie consentita e di quella vietata dal legislatore
La norma in questione fa divieto di stipulare contratti di collaborazione, e quindi di lavoro autonomo (la cd. locatio operis), e contratti di lavoro subordinato (seppur a tempo determinato, la cd. locatio operarum).
Innanzitutto vi è un comando di carattere generale e di cui alla prima proposizione, secondo cui è fatto divieto di stipulare contratti di studio e consulenza con ex dipendenti;
la norma, poi, continua con l’eccezione, ovvero con la possibilità di stipula di contratti di collaborazione a titolo gratuito.
Balza, innanzitutto, agli occhi una breve differenziazione lessicale.
Sono vietati i contratto di studio e consulenza;
sono consentite le collaborazioni gratuite senza limiti di tempo.
Al fine di dare un significato compiuto, si ritiene che le espressioni studio e consulenza (vietate) da un lato e collaborazione (consentite) dall’altro altro non siano che la descrizione dello stesso fenomeno, e quindi di collaborazioni comunque denominate nelle quali prevale l’elemento personale del collaboratore, e non la eterodeterminazione della prestazione lavorativa (caratteristica della subordinazione).
Al fine di rendere più complicata la esegesi della norma il legislatore, però, ha aggiunto un’altra categoria, gli incarichi direttivi e dirigenziali, per i quali si prevede quanto segue:
per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione.
In definitiva, la norma prevede un divieto e due eccezioni:
il divieto è quello delle collaborazioni di studio e consulenza in generale;
la prima eccezione è la collaborazione gratuita senza limiti di tempo;
la seconda è il conferimento di incarico direttivo o dirigenziale a titolo gratuito e per un periodo non superiore all’anno.
Orbene, stante quanto fin qui affermato, occorre dare un senso alla seconda eccezione (quella degli incarichi direttivi e dirigenziali) atteso che, in relazione alla prima (collaborazioni), si è già detto che si tratta di rapporti di lavoro caratterizzati dalla autonomia prestazionale del collaboratore il quale avrà quale unico fine quello di concludere il progetto e/o l’incarico affidato.
Viceversa, occorre procedere all’inquadramento sistematico dell’incarico direttivo e di quello dirigenziale.
GLI INCARICHI DIRETTIVI
A tal fine, soprattutto nel settore degli Enti Locali, è necessario specificare come detti incarichi possano essere extra o all’interno della dotazione organica.
L’art. 110 del dlgs 267 del 2000, sul punto, è sufficientemente chiaro, prevedendosi, al primo comma, la copertura di incarichi apicali all’interno della pianta organica, e al comma secondo la copertura di posti al di fuori della pianta organica.
La differenza non è di poco momento atteso che, solo per fare un esempio, la qualifica di responsabile unico del procedimento è attribuibile solamente ai dipendenti di ruolo.
Effettuata questa premessa sulle diverse tipologie di incarichi apicali a soggetti esterni all’ente locale, una cosa appare incontrovertibile. Si tratta sempre di incarichi direttivi e/o dirigenziali per i quali vale il limite orizzontale della gratuità e della annualità se conferiti a dipendenti pubblici in quiescenza.
In relazione, invece, alla tipologia di incarico, è noto che quello dirigenziale od apicale si caratterizza per il margine di autonomia attribuito al titolare.
Si tratta di lavoratori subordinati che, nell'ambito dell'impresa o dell'ente, svolgono funzioni connotate da elevata professionalità, autonomia decisionale, responsabilità nei confronti dell'imprenditore o del funzionario superiore, nonché da poteri di coordinamento e controllo dell'intera attività aziendale o di un ramo autonomo dell'impresa oppure, per i dirigenti pubblici, di un settore/ufficio, con indicazione di obiettivi e di verifica dei risultati.
La dipendenza gerarchica nei confronti del datore è conseguentemente attenuata, in quanto il dirigente ha la responsabilità con il solo limite del rispetto delle direttive generali impartite dal datore di lavoro.
Si tratta, pur tuttavia, di lavoratori subordinati, la cui particolare posizione li contraddistingue dal resto del personale quanto a selezione e verifica della attività.
Ecco che, quindi, la seconda eccezione al divieto viene ad assumere le caratteristiche peculiari poiché si tratta della possibilità di stipulare contratti di lavoro subordinato (di tipo dirigenziale) solo per un anno e a titolo gratuito.
Ne consegue, però, a seconda di come il contratto viene costruito (extra o all’interno della dotazione organica) ferma restando la gratuità, possono derivare conseguenze particolari in tema di incarichi in concreto attribuibili al dipendente dirigente.
L’INCARICO DI RUP
E qui si analizza la posizione del responsabile unico del procedimento in tema di appalti pubblici.
Ai sensi dell’art. 31 del dlgs 50 del 2016 il RUP deve essere un dipendente di ruolo, cioè occupare un posto nella pianta organica che ogni p.a. configura.
La precisazione è importantissima. Seppur il supporto al RUP può essere scelto tra i soggetti non legati da alcun rapporto con la p.a., il RUP deve essere dipendente “di ruolo” e quindi ricoprire una specifica casella nell’organico complessivo dell’ente.
Di conseguenza, se un ente locale assume ex art. 110 comma 1 del TUEL un ex dipendente all’interno della pianta organica, questi dovrà essere considerato come facente parte del “ruolo” dell’ente e dotato di quella apicalità tale da ritenere sussistente la gratuità ed annualità; essendo “di ruolo” in quanto occupante un posto nel “ruolo” dell’ente potrà ricoprire l’incarico di RUP.
Se, al contrario, una p.a. decide di assumere un soggetto extra dotazione organica (ex art. 110, coma 2, del Tuel o ex art. 90), si avrà un soggetto che, pur ricoprendo un incarico apicale, non occuperà un posto di ruolo(piuttosto sopperirà ad una esigenza temporanea ed extra ordinem dell’ente) e quindi non potrà ricoprire l’incarico di RUP.Si aggiunge, infine, che quanto riferito non si pone in contrasto con le linee guida nr. 3 del 2017 dell’ANAC sulle funzioni del RUP, le quali al punto 2.2. stabiliscono che:
2.2. Il RUP è individuato, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 31, comma 1, del codice, tra i dipendenti di ruolo addetti all’unità organizzativa inquadrati come dirigenti o dipendenti con funzioni direttive o, in caso di carenza in organico della suddetta unità organizzativa, tra i dipendenti in servizio con analoghe caratteristiche.
Invero l’ANAC con il punto 2.2. non fa che ripetere quanto sostenuto dal legislatore, che il RUP deve essere un dipendente di ruolo, come lo è chi è stato assunto ai sensi dell’art. 110, comma 1, del TUEL, per ricoprire un posto all’interno della pianta organica.
Negli stessi termini anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione
Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 14/12/2018,
In materia di pubblico impiego, il rapporto di lavoro dei dirigenti assunti dagli enti locali con contratto a tempo determinato, ai sensi dell'art. 110 del d.lgs. n. 267 del 2000, nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dall'art. 11del d.l. n. 90 del 2014, conv. con modif. in l. n. 114 del 2014, deve intendersi di natura subordinata pur in mancanza di un'espressa qualificazione normativa, comportando l'inserimento nella organizzazione dell'ente e l'adibizione ad un servizio rientrante nei suoi fini istituzionali (laddove le collaborazioni esterne, in regime di convenzione, ai sensi del comma 6 dello stesso art. 110, sono conferibili solo per il raggiungimento di obiettivi determinati), l'applicazione della contrattazione collettiva nazionale decentrata per il personale degli enti locali nonché la risoluzione del rapporto di impiego eventualmente in essere con altra amministrazione pubblica. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 16/05/2017)
Di Marco CATALANO - Giudice contabile