13/05/2019
E’ recente la pubblicazione della XVI Rilevazione MEF-ISTAT 2018 sui risultati conseguiti da CONSIP, la Centrale che impone, ope legis, gli acquisti agli Uffici pubblici e deve dimostrare ai “sudditi” la propria efficienza. I dati sono prevalentemente del 2017 ed evidenziano ancora una volta (testuale, ndr), sconti mirabolanti rispetto al mercato (sulle stampanti, fino al 57%, venghino signori, venghino), senza che nemmeno stavolta i “media” abbiano battuto ciglia.
CONSIP utilizza rilevazioni ISTAT, basate su una sofisticata metodologia ben illustrata al termine della pubblicazione. Peccato che le rilevazioni non siano state corredate da questionari sul gradimento degli Uffici pubblici. Sarebbero emersi in tutta evidenza lo sconforto e la rabbia di questi ultimi. Basta infatti un giro su Internet per verificare che, sempre più spesso, Consip impone aggravi di costo piuttosto che risparmi.
Il Sindaco di un piccolo Comune, stanco del maggior costo imposto dalla Convenzione Consip sui carburanti, si è rivolto alla Sezione della Corte dei Conti del Veneto, che ne ha riconosciuto le ragioni certamente imputabili al sistema di acquisto previsto dalle norme vigenti, alle quali codesta Sezione, al pari delle amministrazioni pubbliche destinatarie della normativa medesima, tuttavia, è tenuta a dare applicazione.
Ancor più severa con CONSIP, anche se conciliante con i “sudditi”, appare l’indagine ANAC del novembre 2015, dal titolo Analisi degli affidamenti in deroga alle convenzioni Consip di energia elettrica, gas, carburanti, combustibili per riscaldamento, telefonia mobile. L’Autorità definisce abili e virtuosi gli Enti ed i Comuni che hanno agito “in deroga” (contro legge, ndr) ed afferma che le offerte Consip risultano in molti casi (almeno tutti quelli presi in considerazione nel presente campione) migliorabili dal punto di vista economico a parità di prestazioni.
Nel dicembre successivo, CONSIP corre subito ai ripari ottenendo dal legislatore norme ancora più restrittive proprio su dette categorie per stroncare ogni rischio di comportamenti abili o virtuosi. Agli irriducibili viene imposto anche di trasmettere gli atti ad ANAC. Non bastano rabbia e sconforto. Meglio un pizzico di paura.
Nell’era della globalizzazione e della turbo-innovazione tecnologica, i vantaggi da economie di scala perdono sempre più la loro centralità. Se e quando le Convenzioni e gli Accordi quadro stipulati da Consip producono risparmi, bastano pochi mesi per accorgersi che si traducono in aggravi di costo via via crescenti.
Tanto che la stessa Consip, da anni, non si limita più ad appalti in grande stile con obbligo di acquisto da parte degli Uffici pubblici. Ma gestisce anche due sistemi di marketplace pubblico, denominati MEPA e SDAPA, cui essi sono obbligati a ricorrere nel caso di acquisti autonomi. Si tratta, però, di piattaforme caratterizzate da tanti vincoli procedurali, da risultare perdenti a confronto dei sistemi di acquisto gestiti da privati.
A fronte di privati sempre più agguerriti e professionalizzati, il pubblico è sempre più appesantito da una normativa asfissiante ed incerta. Per non parlare dei vincoli a tutela di apparati autoreferenziali e indifferenti alle performance. Qualcuno si è accorto che il termine CONSIP è citato in Gazzetta 435 volte nell’ambito di 115 provvedimenti? Una serie di prescrizioni tanto aggrovigliata da procurare più danni della stessa beffa.
Per tagliare le spese, occorre tagliare le norme. I comportamenti virtuosi non si impongono, ma si inducono, creando le condizioni necessarie. La prima è lo sfoltimento dei tanti “lacci e lacciuoli”, capaci solo di produrre situazioni paradossali. Come quella della Corte dei Conti che ribatte con “dura lex sed lex” a chi vuole scongiurare un danno erariale. O quella dell’Autorità Anticorruzione che definisce “in deroga”, comportamenti contra legem. O, ancora, quella dell’AD di CONSIP, che definisce patologiche gare che durano 4-5 anni, senza guardare alla durata di quelle della Centrale che amministra.
Sfoltire le norme è ovviamente condizione necessaria ma non sufficiente. Occorre che CONSIP torni ad essere Centrale acquisti per i ministeri. I risultati ottenuti, quando e se positivi, potranno sempre essere usati dalle altre amministrazioni e dalle altre Centrali di committenza come benchmark per i propri acquisti. Determinando un virtuoso “confronto competitivo” con reali vantaggi e non maggiori oneri per le casse dello Stato. Invece di imporre centinaia di norme basate sulla cultura del sospetto o sulla dipendenza da apparati autoreferenziali, basta ridare dignità ed autonomia ai tanti buyer pubblici che, sulla base di detti benchmark sono ben capaci di coniugare interesse pubblico, trasparenza e pari opportunità.
Riguardo ai benchmark, va anche detto che in Italia esiste una preziosa miniera di informazioni: la Banca Dati Nazionale degli Appalti Pubblici, BDNCP, gestita da ANAC e che contiene i risultati di tutte le gare effettuate in Italia. Un’ottima cosa, in teoria, tanto che la BNDCP ha ottenuto il primo posto nella graduatoria "National Contract Register", dedicata ai principali registri dei contratti pubblici europei. Peccato, però, che ANAC non si curi di assicurare, al pubblico o almeno ai buyer pubblici, un’estrapolazione dei dati gratuita e automatica come pure la legge impone (v. articolo).
Basterebbe imporre anche all’Autorità il rispetto di norme, cui sono soggetti tutti gli Enti pubblici, per garantire la trasparenza e per contrastare la corruzione. Emergerebbero i benchmark di riferimento di tutti gli acquisti pubblici, non solo quelli di Consip, valorizzando e non scoraggiando i comportamenti abili e virtuosi sottolineati, sia pur con tanta timidezza, dalla stessa ANAC.