Incarichi extra PA, vige il principio del Silenzio-Rifiuto Il dipendente pubblico non può accettare incarichi extraistituzionali, prescindendo dall'autorizzazione dell'amministrazione in cui lavora o dalla verifica per il rilascio di tale autorizzazione, adducendo il sopraggiunto silenzio assenso da parte della

Il dipendente pubblico non può accettare incarichi extraistituzionali, prescindendo dall'autorizzazione dell'amministrazione in cui lavora o dalla verifica per il rilascio di tale autorizzazione, adducendo il sopraggiunto silenzio assenso da parte della PA.Nella fattispecie,l’ente chiedeva ai Giudici Contabili un parere circa la possibilità di avviare una procedura per il recupero delle somme percepite indebitamente dal dipendente per l’esecuzione, senza autorizzazione, di attività svolte in favore di un altro ente. Considerato che all’epoca delle prestazioni, l’Ipab conferente non era considerata  amministrazione pubblica, la Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Veneto, nella sentenza n. 201/2017, ha rilevato che «la formazione del silenzio assenso, in tema di autorizzazioni, si realizza esclusivamente qualora le prestazioni siano rese nei confronti di altra pubblica amministrazione, mentre al di fuori della Pa il decorso del termine di 30 giorni comporta, al contrario, il silenzio rigetto, ossia il diniego dell'autorizzazione».  Ne consegue che nel caso di specie «l'inutile decorso del termine dei 30 giorni ha di fatto prodotto il rigetto della domanda di autorizzazione richiesta, da cui discende l'illegittimo esercizio delle attività extraistituzionali svolte dal dipendente». In tal caso «la normativa prevede il rimborso all'amministrazione di appartenenza dei compensi percepiti e, in mancanza della restituzione, la produzione del danno erariale, su cui il collegio contabile è stato chiamato a decidere». Il rilascio o il diniego  dell'autorizzazione da parte della PA è condizionato dalla valutazione:«a) se l'espletamento dell'incarico (…), possa ingenerare, anche in via solo ipotetica o potenziale, situazione di conflittualità con gli interessi facenti capo all'amministrazione e, quindi, con le funzioni (a essi strumentali) assegnate sia al singolo dipendente sia alla struttura di appartenenza;b) la compatibilità del nuovo impegno con i carichi di lavoro del dipendente e della struttura di appartenenza (che dovrà comunque non solo essere svolto fuori dall'orario di lavoro, ma pure compatibilmente con le esigenze di servizio), nonché con le mansioni e posizioni di responsabilità attribuite al dipendente, interpellando eventualmente a tal fine il responsabile dell'ufficio di appartenenza, che dovrà esprimere il proprio parere o assenso circa la concessione dell'autorizzazione richiesta;c) la occasionalità o saltuarietà, ovvero non prevalenza della prestazione sull'impegno derivante dall'orario di lavoro ovvero l'impegno complessivo previsto dallo specifico rapporto di lavoro, con riferimento ad un periodo determinato;d) la materiale compatibilità dello specifico incarico con il rapporto di impiego, tenuto conto del fatto che taluni incarichi retribuiti sono caratterizzati da una particolare intensità di impegno; e) specificità attinenti alla posizione del dipendente stesso (…);f) corrispondenza fra il livello di professionalità posseduto dal dipendente e la natura dell'incarico esterno a lui affidato».Esclusa la possibilità di riscontrare un silenzio assenso nell’”inerzia” della PA, la Corte ha concluso stabilendo che nonessendoci i presupposti per il rilascio di un’apposita autorizzazione «il dipendente va condannato per danno erariale pari all'importo dei compensi illegittimamente percepiti». Tuttavia «in considerazione del suo leale comportamento verso l'amministrazione datoriale per aver presentato richiesta e, della inerzia dell'Amministrazione di appartenenza, avvalendosi del potere riduttivo, il danno può essere quantificato» in  misura ridotta rispetto ai  compensi percepiti.

Qui Deliberazione n. 102 del 13/09/2017

 

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