La delibera ARERA n. 386/2023 e un comunicato del 27 gennaio 2025 hanno indicato che i versamenti delle componenti perequative TARI (UR1,a e UR2,a) vadano calcolati su quanto “bollettato/accertato”, non su quanto “effettivamente riscosso”. Questo sposta sui Comuni il rischio di mancata riscossione e crea incertezza normativa e finanziaria.
Si contesta anche un profilo costituzionale (art. 23): non si possono imporre prestazioni patrimoniali senza una legge; ARERA non può introdurre nuove pretese di versamento su somme non incassate.
Gli effetti sui bilanci sono concreti: tensioni di cassa per anticipazioni, incremento del Fondo crediti di dubbia esigibilità per residui non incassati, rischio di debiti fuori bilancio; con la futura UR3 il problema si aggraverebbe, perché si chiederebbero versamenti anche in assenza di addebito e incasso. Chi ha riversato solo il riscosso rischia gli interessi moratori previsti dalla 386/2023.
ASMEL, che rappresenta 4.700 enti, ha presentato un’istanza di autotutela ad ARERA e CSEA per ripristinare certezza e sostenibilità: chiede che il calcolo avvenga “sul riscosso”, con acconti trimestrali stimati e conguaglio annuale sugli incassi effettivi; in subordine, un coefficiente standard per neutralizzare l’inesigibile; un calendario dei flussi coerente con la stagionalità TARI; la moratoria di interessi e oneri per gli enti che applicano il criterio sul riscosso; e un tavolo tecnico congiunto ARERA–CSEA–ASMEL.
Se l’istanza non verrà accolta, ASMEL sosterrà i Comuni anche con patrocinio legale gratuito. La magistratura contabile ha dichiarato inammissibile la questione sul criterio di quantificazione, rinviando la controversia alle sedi giurisdizionali: la partita si sposta quindi sul piano giudiziario.